diAntonio Sacco
Il primo incontro a Bari con Francesco, il contrasto con la matrigna del re, fu punto di riferimento del «partito costituzionale». Nel 1861 fu costretta a capitolare. Luchino Visconti voleva Greta Garbo per il suo ruolo
«Bonjour Marie». È il 3 febbraio 1859 e Francesco, 23 anni, erede al trono delle Due Sicilie, incontra per la prima volta a Bari, dove è sbarcata proveniente da Trieste, la 17enne Maria Sofia Amalia von Wittelsbach, quinta degli otto figli del duca Massimiliano Giuseppe e della principessa Ludovica di Baden, che diventerà l’ultima regina di Napoli e di cui il 19 gennaio ricorrono i cento anni dalla morte.
I due si conoscevano solo attraverso i ritratti che si erano inviati prima del fidanzamento ufficiale e del matrimonio celebrato per procura a Vienna pochi giorni prima della partenza per Trieste. «Alta, slanciata, dotata di bellissimi occhi di color azzurro-cupo e di una magnifica capigliatura castana; Maria Sofia aveva un portamento nobile ed insieme maniere molto graziose», descrive così la giovinetta bavarese Amedeo Tosti nel volume «Maria Sofia l’ultima regina di Napoli». Re Ferdinando II, pur gravemente ammalato, non aveva voluto rinunciare a dare il benvenuto alla nuora, affrontando un difficile viaggio tra la neve irpina di un gelido inverno del 1859. Francesco non era proprio l’uomo che Maria Sofia si aspettava di incontrare e che nel ritratto ufficiale aveva ammirato fiero e altero nella sua divisa di colonnello degli ussari: lo trovò timido e un po’ dimesso. Completamente diversi tra di loro i due coniugi.
Maria Sofia, nata il 4 ottobre 1841, era esuberante, indipendente: andava a cavallo, cacciava nei boschi, praticava scherma, nuoto, ginnastica, adorava la musica, fumava piccoli sigari. Francesco, che soffriva di fimosi, il che gli impedì per molti anni di consumare il matrimonio, era stato educato secondo rigidi precetti morali e religiosi nel nome di sua madre Maria Cristina di Savoia, morta per i postumi del parto a soli 24 anni, chiamata la Regina Santa, e beatificata dalla Chiesa nel 2014.
Il 22 maggio morì Ferdinando e Francesco divenne re delle Due Sicilie: in pochi mesi, Maria Sofia, non ancora diciottenne, era diventata regina consorte in una corte dominata dalla regina madre Maria Teresa, che avrebbe voluto come erede al trono Luigi, il primo dei 12 figli avuti da Ferdinando. Una situazione non facile per Maria Sofia che entrò presto in aperto contrasto con la matrigna del re. Divenne punto di riferimento del «partito costituzionale» e caldeggiò la nomina a capo del governo di Carlo Filangieri. Le fibrillazioni interne del Regno, però, diventarono ben poca cosa rispetto all’invasione che in pochi mesi portò l’esercito garibaldino fino alla vittoria sul Volturno del 2 ottobre 1860 e il conseguente ritiro delle truppe borboniche a Gaeta, per l’ultima resistenza. E proprio durante l’assedio di Gaeta Maria Sofia costruì l’immagine di giovane e coraggiosa sovrana che l’avrebbe consegnata non solo alla storia ma anche alla leggenda, alle tante biografie (l’ultima nel 2022 l’ha scritta Aurelio Musi per Neri Pozza, ma c’è un ampio e dettagliato capitolo dedicato alla regina scritto da Gigi Di Fiore nel suo «Le Borboniche» edito da Utet nel 2024), e all’ammirazione di scrittori come D’Annunzio (che la definì Aquiletta bavara) e Marcel Proust, che nella «Recherche» parlò di lei come la regina soldato tra i soldati sui bastioni di Gaeta. Perché Maria Sofia divenne davvero un soldato, incoraggiando la resistenza e recandosi in visita negli ospedali per assistere i feriti.
Il 13 febbraio 1861 Gaeta fu costretta a capitolare: Maria Sofia era stata regina delle Due Sicilie per poco meno di due anni. I reali si rifugiarono a Roma, a Palazzo Farnese, dove Francesco istituì un governo in esilio e Maria Sofia cominciò ad appoggiare tutti i tentativi di liberazione del Sud, comprese le azioni di brigantaggio. Nei suoi confronti venne messa in atto una feroce campagna diffamatoria, culminata nel febbraio 1862 con la comparsa di foto, inviate a tutte le corti d’Europa, in cui la regina appariva nuda, in pose lascive. Maria Sofia, che tra l’altro amava la nuova arte visiva, si ritrovò a essere vittima di un fotomontaggio orchestrato da Antonio Diotallevi e dalla moglie Costanza Vaccari, che avevano posto il viso della regina sul corpo nudo di una prostituta. La polizia pontificia arrestò i due, che indicarono come mandanti presunti agenti liberali filo-piemontesi.
In campo affettivo il difficile rapporto con Francesco portò Maria Sofia tra le braccia di un tenente della guardia pontificia, il conte belga Armand de Lavaysse, con il quale ebbe una relazione e rimase incinta. Per nascondere la gravidanza Maria Sofia si trasferì a Possenhofen, dove, su consiglio della famiglia, decise di partorire in segreto per evitare lo scandalo. Il 24 novembre 1862 diede alla luce due gemelle, Daisy e Viola: Daisy venne affidata alla famiglia di Lavaysse (ma morì qualche anno dopo) e Viola agli zii materni. Anche se permane un velo di mistero intorno al parto, perché secondo alcune fonti sarebbe nata una bambina, Daisy, affidata alla famiglia del padre, che sarebbe morta nel 1886. Un anno dopo il parto, seguendo il suggerimento della sorella Sissi, Maria Sofia confessò la relazione a suo marito, che le chiese di tornare a Roma. Il rapporto tra i coniugi migliorò, Francesco si sottopose a un’operazione per ridurre la fimosi e Maria Sofia nel 1869 rimase incinta e diede alla luce una bambina, chiamata Maria Cristina Pia, che venne tenuta a battesimo dalla zia, l’imperatrice Sissi. La piccola visse solo tre mesi, morì il 28 marzo 1870 e la coppia non ebbe altri figli. Quando il 20 settembre 1870 le truppe italiane entrarono in Roma e lo Stato Pontificio si dissolse, Maria Sofia e Francesco si trasferirono a Parigi, senza grandi mezzi economici. «I Savoia non sono stati chic con noi Borbone», confessò Maria Sofia nel 1923 in un’intervista a Giovanni Ansaldo, inviato della Stampa. «La repubblica francese fu molto più signora con gli Orleans di quanto sia stato il regno d’Italia con noi».
Francesco morì a 58 anni, nel 1894, ad Arco, in Trentino, dove si stava sottoponendo a cure termali. E vale la pena ricordare le parole di Maria Sofia mentre mostra ad Ansaldo due acquerelli che raffiguravano il Vesuvio: «Li dipinse il mio re. No, il mio re non fu imbecille… come dicono». A Parigi, Maria Sofia continuò a tenere viva una piccola corte borbonica in esilio, con servitori delle province meridionali, tra i quali il casertano Luigi Tagliaferri, e il fedele segretario catanese Luigi Barcellona, ricevendo giornalisti e scrittori come Giovanni Papini o il futuro Papa Pacelli Pio XII, sperando sempre di riottenere il regno perduto. Venne accusata di appoggiare i nemici dei Savoia, soprattutto gli anarchici come Errico Malatesta e Gaetano Bresci. Durante la prima guerra mondiale simpatizzò per gli imperi centrali, che combattevano contro l’Italia, ma non mancò di visitare in Germania i prigionieri italiani, intrattenendosi soprattutto con i meridionali. E si tenne informata fino alla fine sulle vicende italiane, seguendo anche l’ascesa di Mussolini. Maria Sofia morì a causa di una forte polmonite il 19 gennaio 1925 a Monaco di Baviera, dove negli ultimi anni era vissuta in casa di un nipote. Della sua vita avrebbe voluto farne un film Luchino Visconti, che aveva pensato a Greta Garbo come protagonista. E la Divina, che da anni si era ritirata, avrebbe dato il suo consenso perché affascinata anche lei dalla figura dell’ultima regina di Napoli. Le cui spoglie, insieme con quelle di Francesco e della figlia Maria Cristina, riposano, dal maggio 1984, nella cripta della Basilica di Santa Chiara.
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17 gennaio 2025
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